Sensi di colpa e Amore

Diventi adulto quando ti assumi la responsabilità di deludere i tuoi genitori. Quando accetti il rischio di ferirli, di contrariarli, di contraddirli.

Quanto amore dietro le scelte più banali, quanta gratitudine al dì là delle decisioni più rimuginate?

Le donne della mia vita sono mondi imperfetti nei quali amo perdermi e ritrovarmi; sono occasioni di profondità e, anche se non lo sanno sempre, loro sono il mio oceano, il mio abisso, ed io faccio sub. Ho imparato che il loro buio è il mio buio e mi piace: poter abbracciare da fuori un problema, intravvedere una soluzione e metterla in pratica nella vita, la mia.

I viaggiatori hanno occhi grandi e, spesso, valigie di sensi di colpa.

Perché partire non è solo comprare un biglietto aereo, ma anche lasciare la casa del sangue e la società in cui essa è inserita per cercare di giocare con altre regole, le tue e per provare a stare ad un altro passo, il tuo.

“Diventi adulto quando ti assumi la responsabilità di deludere i tuoi genitori” perché in fondo ciò che ogni figlio vorrebbe è amore: vuole sentirsi accettato e degno di quel primo micro mondo che è la famiglia, vuole che si sia orgogliosi di lui e forse, per un certo periodo, che loro siano orgogliosi di noi è più importante che esserlo noi di noi stessi.

Poi, capita, che uno si accorge che più cerca di stare a quel passo più affanna. Capita che sei arrabbiato, sempre, e non sai più perché. Succede che nulla ti emoziona, che tutto ti annoia, e sei semplicemente stanco. Di te.

Ti rendi conto che quel senso di colpa in cui inciampi quando vai oltre l’affanno, la rabbia o la noia, è un profondo ma limitante amore.

E’ un rito di passaggio, una catarsi. Ti rendi conto che volente o meno non potrai mai essere perfettamente “come pensi loro ti vogliano” anche solo perché fate parte di due generazioni diverse, perché il posto fisso o la casa di proprietà non sono più l’obiettivo primario della società in cui vivi. Finisce che ti trovi di fronte alla scelta di essere genitore di te stesso.

Ti rendi conto che è tempo di sollevarli dall’incarico per quanto destabilizzante possa essere.

Licenziare i propri genitori dal ruolo di “detentori della verità” non è un atto teatrale esterno, non prevede urla o discussioni ma la presa di consapevolezza interna che è tempo per il Sé di riappropriarsi del suo potere, una atto di responsabilità, il decidere o forse, il semplice rendersi conto che alla fine del viaggio, nella solitudine degli ultimi istanti, l’unico giudice presente sarai tu. Tu solo osserverai la tua vita e saprai se è stata davvero una di quelle che valeva la pena vivere.

Renditi orgoglioso. Renditi felice.


Ci fu un attimo di silenzio.

“Ma sei completamente impazzito?” chiese poi rianimandosi all’improvviso. “Con la crisi che c’è in giro lasci un lavoro in banca? Ma sei scemo, Luca? Che ti passa per la testa? Cristo santo, che follia è mai questa?”

“E’ una follia, si. Ma è la cosa giusta. E’ l’unica cosa giusta”

“Luca dimmi che è uno scherzo” disse mia madre con un filo di voce.

Mi avvicinai a lei e le presi le mani nelle mie. Mi ero preparato con sofferenza a quel momento.

“Mamma, voglio che mi ascolti bene. So che tutto questo ti sta agitando molto. So che ti comporti in questo modo perché mi vuoi bene. So che cerchi di proteggermi…ci hai sempre provato. Ma non sono più un bambino. Sono un uomo adulto. Accettalo. E accetta il fatto che non tutto debba sempre andare come vorresti tu. Le tue priorità non sono le mie. Ciò che per te è importante magari non lo è per me..ma lo rispetto comunque. Ti chiedo di fare lo stesso: anche se ora non lo capisci, anche se ti sembra che io stia buttando via la mia vita, ti prego di capirmi. Non ostacolarmi. Non supportarmi, se non vuoi o non ci riesci. Ma non rendere tutto più difficile di quanto già è.”

Glielo dissi guardandola negli occhi. Lei non distolse lo sguardo neanche per un secondo. Poi mi rivolsi a entrambi.

“C’è una cosa che ho capito solo recentemente, ma ci credo molto…chi ti ama davvero vuole vederti felice, anche se ciò significa lasciarti andare. Chi ti vuole vicino e infelice, invece, ha a cuore solo la sua felicità. Non siate quel genere di genitori. Non vi ho mai chiesto niente, ma questa volta sì….siate felici di lasciarmi andare. Siate felici di vedermi partire…vi prego.”

Quando finii, mia madre disse solo due parole, ma furono la miglior dichiarazione di affetto che mi avesse mai fatto.

“Va bene.”

La ringraziai con gli occhi.

“Ma come, va bene?” chiese mio padre. “Questo si è licenziato per viaggiare e va bene? Ma che diavolo state dicendo? Siete impazziti tutti e due?”

“Tu non puoi capire” dissi a mio padre.

Mio padre fu colpito in pieno dalla mia risposta, criptica e al tempo stesso perfettamente comprensibile.

“Come vi dicevo, parto” ripresi. “Vado a Bali…”

“A Bali?” chiese lui sbalordito.

“…con un biglietto di sola andata” prosegui senza badare alla sua reazione. “Non so quanto ci starò. Non so ancora niente in realtà”

“Ma perché fai questa cosa?”

Guardai mia madre, e in quel momento mi parve più magra e fragile che mai. Nei suoi occhi, però, leggevo qualcosa che mi diede un gran coraggio: comprensione. Forse ciò che stavo facendo lo avrebbe voluto fare lei tanti anni prima. Scappare da mio padre, lasciarsi alle spalle il dolore e l’infelicità. Incredibilmente, fui grato a Sara di avermi tradito e aver scongiurato quello scenario. Con un anello al dito e un figlio, forse non avrei più potuto fare una cosa del genere.

“Scappo dalla mia infelicità. Scappo da Sara che mi ha strappato un sogno. Scappo da questa città che non ho mai amato. Sento il bisogno di scappare, andare lontano. Voglio stare un pò da solo, ma non qui. Con tutti i fantasmi che ho nella testa e con tutto ciò che ho intorno, non riuscirei mai a stare da solo. Ho bisogno di silenzio…ho bisogno di partire.”

Nessuno dei due disse più nulla.

Come una notte a Bali, Gianluca Gotto

Questo secondo Capodanno

Me lo immagino questo nuovo inizio, un secondo capodanno, la lista dei buoni propositi: più cura di me, più tempo di valore, più allenamento e più felicità, più investimento sui miei talenti.

Yeah! WOW!

Come no!

Quindi via di corsi di yoga e di crescita personale! Obiettivo la miglior versione di sè.

Yeah! WOW!

Ho pensato di stilare per voi, Cari, la mia personale lista delle più comuni tentazioni, dei tranelli interni ed esterni, in cui si può cadere nella scelta di una strada per la ormai inflazionata “Versione Migliore di Sè”, per evitare che nell’entusiasmo della ripartita la VMdS finisca per essere solo l’ennesima gabbia o frustazione.

Partiamo quindi con:

1. Chiarisci il tuo o i tuoi PERCHÉ

Cos’è il successo? Cos’è il talento per te? Cos’è la libertà finanziaria? Quali sono i modelli positivi a cui ti ispiri?

Se non abbiamo chiaro il perché e cosa stiamo cercando, rischiamo di andare incontro a delusioni e fraintendimenti.

Desidero un lavoro su di me accogliente e delicato? C’è Alice di Ritualmente. Ho bisogno di un taglio più maschile, pochi fronzoli e decine di articoli in cui sfogare la mia voglia di iniziare a capirci qualcosa, sempre con un occhio rivolto al fare? C’è Andrea Giuliodori ed Efficacemente. Sento che è il momento di entrare più in profondità, voglio un lavoro che mi impieghi tempo ed un bel pò di sforzo, d’indagine, di messa in discussione, con un pizzico di atmosfera magico galattica? Roberta Zanetti con Supernova. Poi c’è Cecilia Sardeo col suo taglio giovanile e Nicole Zunino col suo sorriso che affrontano la crescita di un business consapevole mettendo tutte le loro competenze in gioco, la community di Meverick’s di Federico Pistono e l’ironia di Just Mick.

Questi sono solo alcuni dei professionisti, la cui unicità, può aiutarci a far luce su noi stessi per ottenere la famosa vita che desideriamo. Solo se abbiamo ben chiaro che “così come non esiste un’unico tipo di pizza non esiste un modello unico di felicità uguale per tutti” ci concederemo del tempo per osservare le diverse alternative alla ricerca di cosa in questo momento è più in linea coi nostri valori, le nostre necessità ed i nostri bisogni.

Mal che vada si può sempre partire dal classico di Simon Sinek “Partire dal Perchè”, più d’ispirazione di così.

2. Avrai bisogno di investire spazio e tempo

Diffida da chi evita accuratamente di sottolineare che per ottenere qualche risultato bisogna rimboccarsi le maniche e metterci determinazione e costanza. Diffida dal “tutto e subito”, dagli estremi e dall’assolutismo sfacciato.

I migliori insegnanti non ti chiederanno di credere per fede ma ti inviteranno a mettere in discussione ogni tua certezza e provare a seguirli per un periodo medio lungo che va da un mese ad un anno.

Evita di pretendere da te stesso di imboccare la strada perfetta al primo colpo. Io non conosco nessuno che l’ha fatto, ma conosco invece moltissime persone che hanno passato i primi anni della ricerca a cambiare e provare, conoscendosi sempre un pò di più e scoprendo, lungo la via, che le prime esperienze erano spesso prese sull’onda di una moda, di un’idea astratta o di una “dis-conoscenza” di sé stessi.

3. E’ un investimento monetario

Così come non hai accesso gratuito alla palestra, allo stesso modo i migliori allenamenti per i muscoli interni sono a pagamento. La maggior parte dei personaggi di cui ti ho parlato sopra hanno canali youtube, account social o blog in cui mettono a disposizione strumenti gratuiti, nei quali puoi iniziare a familiarizzare col loro personale modo di affrontare i diversi argomenti e cercare di capire se ed in che ambito fanno per te, ma la vera differenza la troverai impegnandoti prima di tutto economicamente, compiendo una scelta ed impegnandoti a trarre il massimo da questa.

Quindi si alla lista dei buoni propositi, si alla voglia di uscire da questo periodo imboccando una nuova strada, si all’entusiasmo da sole cuore e amore ma sempre ricordando che la vera differenza, all’inizio di un cambiamento, la fanno le domande e la strada che si decide di percorrere nella ricerca delle proprie personali risposte.

Kup Manduk

Perché nessuno mi ha detto che le cangure hanno due vagine?

Immaginate la mia faccia, bimba curiosa amante dell’assurdo, avida di sapere e notizie bizzarre, quando mia madre, la nutrice, la partoriente, mi ha comunicato la notizia con indiscutibile leggerezza: stavo riempiendo per la terza volta di acqua calda quello che all’inizio era del caffè americano e ad un tratto tutto si fa immobile intorno a me.

Quando avete pensato che io e la mia curiosità già ne fossimo informate? E senza quella sicurezza, perché nessuno me ne ha mai parlato prima?

Esiste un libro che parla di questo: di Lisa Signorile “Il coccodrillo come fa. La vita sessuale degli animali”.

Io, forse, avrei evitato anni di psicologo a saperlo.

Ci sono state occasioni, in tutti questi anni, in cui mi sono sentita così diversa da sentirmi sbagliata: la voglia di evasione, l’irrequietezza, la ricerca constante di passione, di un talento da condividere e il bisogno allo stesso tempo di un luogo per la mia solitudine, mi hanno dato la sensazione di essere contro tutti, contro il buon senso, contro ciò che era giusto, contro natura.

E poi scopri che ci sono le cangure con due vagine ed i canguri col pene biforcuto e la Natura ti appare una meravigliosa biodiversità capace di includere chiunque.

Capisci che sono gli uomini a farla delle volte così difficile, coi loro giudizi, col loro pensare che esista sempre una parte della ragione e una del torto, con il loro progressivo abbandono della fantasia, coi loro sensi di colpa.

Alla fine la Natura, quel sistema del quale anche noi facciamo parte nonostante spesso ci pensiamo fuori o addirittura sopra, si rivela ai miei occhi, ancora una volta, la miglior guida contro i turbamenti della mia mente.

Forse, sono semplicemente un marsupiale.

La mia diversità è la normalità per una parte di mondo che semplicemente non è quella che a prima vista mi circonda.

.Se una cosa non la sai, non vuol dire che non esiste.

Dovremmo imparare a ritagliarci un tempo per domande come “e se ci fosse di più? E se ci fosse un altro modo?”, non tanto per stravolgere le nostre vite, ma per darci la possibilità di sapere che volendo ci sono altre soluzioni, altri modi.

La possibilità di sapere che quel desiderio, quella diversità, non è un volo pindarico o un’allucinazione ma una tra le tante infinite ed a volte assurde possibilità che l’Universo mette in gioco.

E alla fine, in tutto questo sentire, essere fieri esattamente per come siamo, fiduciosi che la Natura ci ha fatto perfetti, certi che ci sia un mondo inaspettato e meraviglioso al di là delle cose che pensiamo di sapere.


Un giorno, nel piccolo pozzo in cui una rana è vissuta tutta la sua vita, salta una rana che dice di venire dall’oceano.

“L’Oceano? E cos’è?” chiede la rana del pozzo.

“Un posto grande, grandissimo”, dice la nuova arrivata.

“Grande come?”

“Molto, molto grande.”

La rana del pozzo traccia con una zampa un piccolo cerchio sulla superficie dell’acqua:

“Grande così?”

“No. Molto più grande.”

La rana traccia un cerchio più largo.

“Grande così?”

“No. Più grande.”

La rana allora fa un cerchio grande quanto tutto il pozzo che è il mondo da lei conosciuto.

“Così?”

“No. Molto, molto più grande”, dice la rana venuta dall’oceano.

“Bugiarda!” urla kup manduk, la rana del pozzo, all’altra. E non le parla più

Daniel Dolphin

Fuori piove ed io mi sono preparata un tè perché volevo raccontare una storia a cui da piccola ero molto affezionata: come non affezionarsi d’altra parte ad un racconto con protagonista un delfino che prende e se ne va alla ricerca dell’onda perfetta, un brano tutto carino e positivo dove anche la paura dell’ignoto viene sconfitta ascoltando la voce del cuore?!

Giuro, credo di aver passato anni credendo ad ogni singola parola, ascoltando voci e facendo scelte senza valutare le conseguenze o i rischi, sempre fiduciosa che la vita mi avrebbe portato esattamente dove dovevo essere e dove, ovviamente, avrei trovato la mia onda perfetta.

La verità è che per anni non mi sono mai chiesta se la voce che sentivo fosse quella del cuore, delle mie paure, della mia voglia di ribellione, del mio stomaco o chi per lei.

Sognavo come sogna la maggior parte della gente, con superficialità.

A chi verrebbe poi da domandarsi se sta o no sognando nella maniera corretta?! Perché sogniamo è vero, ma difficilmente lo facciamo sul serio, è come un divagare della mente tra la lista della spesa e le faccende domestiche. Un tenerci occupati.

Ed invece parlare di sogni è una cosa seria.

Permettersi d’esplorare i sogni ci aiuta a realizzare qual’è il valore che diamo a noi stessi: non il mero dire “vorrei una bella macchina o vivere in Canada”, ma il permesso di prendere e sentire seriamente come sarebbe.

Come la paghi la macchina? Dove vai? Come cambia l’ambiente che frequenti? La lingua? La lontananza dalla famiglia? Come la gestisci?

Non è sognare coi piedi per terra ma un atto di elevazione nel quale ci permettiamo di andare oltre il giudizio, oltre quello che pensiamo di essere e, messi a nudo, scopriamo se davvero ci sentiamo a nostro agio in quei sogni, se ci sentiamo di esserne degni, di meritarli.

Non si sogna per vedere il sogno realizzarsi, non proprio, come non si va in montagna per vedere la montagna in sé. Si sogna per migliorarsi, per sbattere il cuore contro il muro delle paure, della incertezze, dei timori.

Alleniamo le gambe in montagna come sognando teniamo alta l’attenzione all’interno di noi.

L’obiettivo è quello di sognare sogni che ci appartengano, che ci facciano vedere i limiti, che ci insegnino a dimostrare a noi stessi che siamo meritevoli e che l’unico motivo per cui dobbiamo dimostrarlo è che non ci crediamo noi.


“Daniel” ricordò “Diffida della creatura chiamata uomo”

Fu preso dal panico. Quelli erano gli esseri di cui aveva sentito parlare, responsabili di tutti i disastri aveva dovuto vedere durante il viaggio. Le luci della scogliera erano uguali a quelle che illuminavano la nera sagoma addormentata sull’acqua, assassina di delfini e predona del mare. 

Allora questa è la fine del viaggio? Si chiese. Sto per morire? 

Ma a quel punto il mare gli parlò. 

La dove sei diretto non ci sono sentieri, né piste, solo il tuo istinto. Hai seguito i segnali e alla fine sei arrivato. Adesso devi fare il grande tuffo nell’ignoto e scoprire da solo chi ha torno, chi ha ragione, chi sei tu veramente. 

Daniel diede ascolto al suo cuore e capì che poteva fidarsi di quelle due creature, nonostante appartenessero alla specie che aveva provocato tanti orrori, perché sentiva che anche per loro il contatto con il mare era un modo di lasciarsi alle spalle un mondo e di rincorrere i sogni. 

Daniel Dolphin era arrivato tanto lontano credendo in sé stesso. Doveva fidarsi del suo istinto una volta di più, e così rimase ancora un po’, con la sensazione che stesse per accadere qualcosa di speciale…

Fu allora che la vide arrivare, da occidente. 

L’onda più perfetta che avesse mai visto comparve all’orizzonte. Era diretta verso la barriera e cominciava a crescere a contatto con il fondale corallino: era davvero una cattedrale d’acqua lunga e cava dal richiamo irresistibile per uomini e delfini. Daniel Dolphin sapeva che si trattava proprio della sua onda, quella che aveva sempre sognato. Nuotò e si predispose a cogliere il momento propizio. Anche gli altri due surfisti la videro, e vogarono forte per arrivare in tempo su di lei e cavalcarla. Erano tutti nell’onda.

Per una volta era come se tutti parlassero il linguaggio universale dei sogni. Il mare parlò a tutti loro

Alcune cose saranno sempre più forti del tempo e della distanza, più profonde del linguaggio e delle abitudini: seguire i propri sogni, imparare a essere se stessi, condividere con gli altri la magia di questa scoperta.

Credendo in se stesso e ascoltando i consigli dei suoi compagni di viaggio, Daniel Dolphin era riuscito a trovare l’onda perfetta e incontrandola aveva scoperto il vero scopo della vita: dare un senso a ogni suo istante, seguire i sogni, perché così sarebbe stato felice. Aveva varcato la soglia oltre la quale i sogni diventano realtà, una soglia visibile solo a chi ascolta il cuore.

Arriva un momento nella vita in cui non rimane altro da fare che percorrere la propria strada.

Prendi giacchetto, metti giacchetto, togli giacchetto… Atteggiamento.

Ultimamente rifletto spesso sul cos’è un “atto di fede”.

Sono in una fase in cui l’aprirsi alla chiusura di cicli è, da una parte, un “credere nelle cose belle che Dio, o chi per lui, ha fatto per me in passato, sta facendo per me ora e farà in futuro” e, dall’altra, un razionale rendersi consapevoli di come la vita stessa sia un susseguirsi di cambiamenti: questa non è la prima fine e di certo non sarà l’ultima.

Per quando riguarda la Fede, essa si concretizza nel riconoscere la bellezza, nel credere e sapere di essere sostenuti sempre anche quando l’apparenza e l’identificarsi con oggetti e ruoli pare dirci il contrario. La perdita di aggettivi possessivi è ben più ostica di quanto ci piacerebbe ammettere ma il credere, nonostante tutto, è solo una scelta.

La razionalità, dalla sua parte, non mi permette di cadere in contorte lamentale: ci sono stati fatti e scelte di cui io sono responsabile, un presente che è tale per opera mia e a cui io solo posso rimediare. Ci sono situazioni che si sono ripetute, occasioni che ho lasciato passare, ma in nessun caso c’era un obbligo. Solo, nuovamente, una scelta da fare.

Mentre rifletto su questi due aspetti mi torna alla memoria quel famoso pezzo di Karate Kid “prendi giacchetto, metti giacchetto, togli giacchetto… Atteggiamento” e lui che fa quel sorriso forzato a 36 denti.

Ci sono momenti in cui ripeto a me stessa “fede è credere che Dio ti sosterrà affinché tu possa realizzare lo scopo della tua Anima e bla bla bla”, la ripetizione è silenziosa a 360°: potrebbe anche essere la ricetta delle polpette tanta l’indifferenza del mio cuore ed il mancato coinvolgimento dei miei sensi.

Questi sono i momenti in cui “faccio un giro più largo”: parto ricordando quante altre volte le cose sono cambiate e tutto ciò che di positivo c’è stato, e c’è sempre stato a ben guardare; poi ammetto a me stessa di avere paura ed elenco tra me e me le cose che temo o di cui mi dispiaccio cercando di rimanere in osservazione di cosa si muove perché sul fondo dei miei pensieri, dietro il muro che posso erigere con lamentele ed ansie, vedo pulsare chi sono davvero, vedo emergere i volti di chi crede in me, le possibilità che si aprono alle chiusure, vedo la “fede”. E la fede non è altro che un riconoscermi, è scegliere di scegliere.

Sono arrivata a pensare “all’atto di fede” come ad un ragionamento dell’Anima di fronte alle continui fini, così come per il bruco e la farfalla: ammetto l’incapacità di vedere oltre, la scarsa immaginazione, il limite del visibile, ammetto tutto questo e davanti alla fine scelgo di aspettare a sentirmi persa, tragicamente abbandonata o senza speranza. Però.

Però lo faccio nel Sentire del mio cuore, non permetto che sia una mera ripetizione ma un occasione di osservazione, vedo cosa provo pensandoci, dove tentenno e abbasso le sguardo. Mi ricordo dell’atteggiamento, anche se nel film non si facevano di certo tutto questo gran ragionamento.

L’atto di fede allora si dimostra tale non tanto in un’azione esterna ma, piuttosto, in una silenziosa ed interna, sincera e capace di essere salda.

L’atto di fede diventa così coerenza cardiaca (nel senso di atto allineato al cuore) non tanto perché è azione cieca sulla base di qualche supposizione ma proprio perché ci vede benissimo e sceglie.

Un atto di fede insomma si fa ad occhi aperti e forse bisognerebbe iniziare a correggersi e chiamarlo “un salto nella luce”.

“Mi apro alla chiusura”, il Boccino d’oro

“MI APRO ALLA CHIUSURA”

Una delle frasi più belle, a mio parere, della storia della saggistica contemporanea. La mia top tre include: “Try everything” di Shakira, colonna sonora di Zootropolis, e l’intramontabile “da grandi poteri derivano grandi responsabilità” del famoso zio saggio di Spiderman.

Qui, se avete un vuoto di memoria, abbiamo la “finta morte di Harry Potter”, il rito di passaggio o meglio ancora la chiusura definitiva di un ciclo iniziato, poco dopo la sua nascita, con il sacrificio dei genitori.

In questa mia personale nuova Notte dell’Anima, ricerco nelle storie e nelle frasi che la mia Coscienza porta a galla, una lettura delle energie che da dentro di me si manifestano all’esterno.

Sempre per quella legge di base secondo cui siamo noi stessi gli artefici ed i responsabile della vita e degli eventi che si dispiegano all’esterno. Quindi.

Ci sono io, da una parte, che mi sembra di perdere ogni cosa e, dell’altra, c’è Harry Potter che deve scegliere di fidarsi ancora una volta di una magia, di un destino, che non comprende appieno. Entrambi decidiamo di “aprirci alla chiusura”.

Ci apriamo entrambi alla fine. Entrambi siamo disposti a mettere tutte le certezze in gioco e, aprendo i palmi delle mani in segno di resa, molliamo la presa sugli eventi, la strada che ci eravamo prefissi, il finale sperato che risulta ormai illusorio.

È una strada a curve in cui non possiamo far altro che decidere di spingerci ancora un po’ più in là.

Harry Potter ci si presenta qui come un Gesù dei tempi moderni: una persona il cui destino va oltre la volontà personale, se ci ricordiamo bene infatti Harry non manifesta orgoglio o la volontà di essere il prescelto ma, così come Gesù, accetta senza troppe lamentele il ruolo, sceglie di incarnare totalmente colui che è.

Mi viene da osservare come le Notti Buie dell’anima spesso coincidano proprio ad uno scegliere, magari nuovamente, di essere esattamente ciò che si è, con fede ed apertura di cuore. Così come Harry Potter nella foresta o Gesù in ritiro, anche noi siamo tentati di rifiutare il ruolo e la verità del nostro cuore: sappiamo cosa c’è da fare, lo sentiamo come un richiamo chiaro, eppure abbiamo paura, temiamo il giudizio degli altri, temiamo per quello che andrà perso.

La fine è per entrambi una rinascita, l’inizio di una vita vera, di una vita libera.

E riflettendo sulle storie che Amo che la Notte inizia a farsi meno scura e all’orizzonte paiono vedersi le prime sfumature dell’alba.

Che io possa essere me.

Lezione di Yoga portatile per l’Estate

“La vera vocazione di ognuno è una sola, quella di arrivare a se stesso.
Finisca poeta o pazzo, profeta o delinquente, non è affar suo, e in fin dei conti è indifferente.
Affar suo è trovare il proprio destino, non un destino qualunque, e viverlo tutto e senza fratture dentro di sé.
Tutto il resto significa soffermarsi a metà, è un tentativo di fuga, è il ritorno all’ideale della massa, è adattamento e paura del proprio cuore.” Demian di Herman Hesse

Un’altro modo per dire “meglio il dharma tuo fatto male che quello del tuo vicino fatto bene”, insomma sempre quel “cerca e sii te stesso” che tanto piace alle insegnati di Yoga di ogni genere.

In pratica: ma il gelato al cioccolato ti piace? Cioè piace a te o è ciò che hai sempre preso? E quei vestiti? Quel modo, nel mio caso scomposto, di sederti, ti appartiene o fa parte delle maschere che ti sei costruito? Chi sei tu?

È un viaggio che è fatto di ascolto interno, di pause un poco più lunghe e magari di domande lasciate in sospeso. Perché spesso rispondiamo all’altro dalla parte più superficiale di noi stessi, per protezione e vanto evitiamo di sostare nella pausa, quasi come se dopo un paio di secondi venisse meno il diritto di parola, come se ci dovesse essere sempre un confronto, un “ti capisco, anche a me è successo” che unisca, seguito da un racconto che nel mio caso sottolinea la mia conoscenza e la mancata comprensione degli altri.

L’ho fatto esattamente circa mezz’ora fa. Non si può nemmeno parlare di tentazione perché è stato un automatismo più rapido anche del mio battito di ciglia: ho inspirato ed il confronto, quel “tutto Ego e niente arrosto” era già sul palco a dar mostra di sé. Chi ha parlato? Chi si è dovuta giustificare? Chi non si sente abbastanza?

Oggi intanto che praticavo con Kris mi sono resa conto, dopo sue ripetute conferme che avevo la forza per fare, che quello di cui parlava io non lo sentivo, non avevo una codifica, non avevo vera esperienza. Così il mio corpo ed io parliamo due lingue diverse, l’istinto in un angolo ed al comando la ragione. Che va bene, ma non sempre benissimo. Bisogna, o meglio, necessito io per prima, di riprendere in mano un dialogo dato per scontato.

Durante l’estate la luce è più forte, taglia i contorni e ci offre ombre definite, ci consegna limiti netti, ci offre l’occasione di osservarci per davvero sotto una luce nuova, calda ed avvolgente tanto quanto decisa.

Chiedersi “chi?”

Prendere un attimo prima di rispondere, osservare chi si appresta a parlare, chi a scegliere, chi a tuffarsi in mare, chi a camminare, chi si appresta a vivere. Prendere un attimo per vedere dove sei tu; se dietro le tue abitudini e le tue costruzioni mentali, a lato della paura o lontano dal tuo cuore, vedere se ci sei e stai agendo o se sei diventato lo spettatore di una routine che recita al tuo posto.

Parti dalle piccole cose. A che gusto preferisci il gelato? Da quale parte del letto stai più comoda? Come reagisci davanti ad un come stai?

Guardati netto, nel senso di senza mezzi termini mica di pulito (cioè magari anche) e guardati nudo.

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Sono decisamente fortunata. 

Oggi è la giornata del “che valore dai alla vita che hai scelto?” detta così sembra una cosa un sacco seria, certo che lo è, ma sembra anche una qual cosa pesante che invece, come potete immaginare, non è.

Mi sa che questa volta faccio un giro largo che forse mi conviene scrivere due post: sento con precisione la mia testa iniziare a sciorinare parole più velocemente di quanto le mie dita possano schiacciare tasti oddio, oddio come un pianista impazzito penso scriverò a caso blksakdajskfndsjkfhdsjfhdjgdfjhgeijksdljgdksjfjghuj. Ecco, già meglio. Partiamo quindi con ordine. 

Pensi che sia un foglio di carta a definire il valore che dai alla tua vita? Riflettevo oggi con la mia mamma, che è la mia ma non quella di Gesù anche se lui mi ha detto che ho scelto proprio bene, comunque; riflettevamo insieme sulle sue difficoltà nel sentirsi tranquilla per il mio futuro diciamo così, immersa com’è in un paesino di campagna dove per tradizione “è sempre bene avere un attestato, possibilmente una laurea qualsiasi”. Discutevamo su come sia, a mio parere, spesso una limitazione propria dell’Italia dove il talento e l’impresa spesso sono visti come “colpi di testa”, dove decidere di investire nel proprio sogno inizia adesso a considerarsi come un atto di coraggio di tutto rispetto. Lei mi raccontava come, da madre, sia arduo delle volte parlare e raccontare cosa fa questa figlia un pò ricercatrice ed un pò vagabonda, di come nel suo ideale di serenità spesso faccia fatica a farci rientrare il mio stile di vita e le mie scelte. E’ stato bello vedere la sua consapevolezza: da una parte le paure e dall’altra il rendersi conto delle profonde ed arricchenti esperienze che ho potuto vivere. Provo un’infinita gratitudine per la libertà che mi è stata data ed un grandissimo rispetto per il suo coraggio nel non tirare mai il freno della mia vita con ricatti o imposizioni, nel dialogo che mi ha permesso di creare nella sincerità delle nostre differenze. Io non credo che sia un foglio di carta a dare valore alla mia vita, per quanto per alcuni sono “una collezionista di attestati” ed io per prima ammetta di averne un pò: quelli ai miei occhi sono pezzi di una ricerca che sconfina i bordi, pezzi di quadro con ugual valore di tanti altri pezzi che sono viaggi, lavori, persone.

Quindi questa è una piccola lettera alle mamme di unicorni, fate, alberi, stelle. Grazie Littizzetto perchè questo spunto parte dalle tue di lettere che a me piacciono tanto e forse questa è una di quelle anche per la tua, di mamma intendo.

“Ciao mamma, sono io, quella che non sai mai con precisione dove si trovi, quella che quando ti chiedono al bar che sta facendo manco sai bene cosa rispondere, quella che forse hai rinunciato pure a comprargli qualche vestito perchè cambia così spesso che fai fatica a stargli dietro. Volevo dirti che va tutto bene. Sò che ti verrà da scuotere un pò la testa incerta sul credermi o meno, ma fidati questa volta: va tutto bene. Lo sò che la mia vita hai tuoi occhi ha poco senso compiuto, che mi stimi talmente tanto che per te potrei fare qualunque cosa che se fosse un lavoro a tempo indeterminato tanto meglio. Sai, forse abbiamo semplicemente un idea un pò diversa di cosa sia il “tutto bene”. Nel mio tutto bene non c’è uno stipendio fisso, non c’è una routine imposta da un lavoro che non mi piace e si, ci sono delle volte in cui il mio frigo senza le tue scorte sarebbe un pò vuoto, ok, molto vuoto. Ma la mia vita mamma, la mia vita è così piena di bellezza che non mi bastano gli occhi. Mi tocca guardare con tutto il corpo! Quando dico va tutto bene, tu respira e guardami, guarda un secondo la persona che mi hai aiutato a diventare, quella a cui hai dato la libertà di volare. Dimmi: le vedi le mie ali?! E lo abbiamo visto mille volte La Gabbianella ed il Gatto che non capisco perchè stai ancora a chiederti da dove sia venuta fuori. Pensa in che enorme e fantastica impresa sei riuscita: mi hai insegnato a volare, tu, proprio tu, coi piedi piantati per terra e la paura dell’acqua. I nostri orizzonti saranno sempre diversi come il mare e la terra ferma, ma tra loro ci sono pontili fatti apposta per fermarsi, noi ci troviamo lì. Solo due ore che poi ho il treno e devo ripartire e no, le lasagne di nonna non ci stanno nella borsa e si, l’acqua per il viaggio l’ho presa. Grazie mamma, per tutte le volte che hai alzato le spalle sorridendo vendendomi  andare a sinistra, dopo avermi detto di girare a destra, grazie per i messaggi quando non rispondo al telefono, grazie per i fazzoletti nascosti a chili nella borsa che se erano soldi a quest’ora per Natale ti regalavo StarWars, non il dvd proprio la navicella che ti piace tanto con i tipi in tutina attillata dentro. Dai va bene, faccio la seria. Va tutto bene, davvero, nel frigo c’è l’ultimo pezzo di lasagne di nonna, l’affitto lo pago e forse poi cambio lavoro di nuovo che volevo provare a vedere un’altro pezzo di mondo. Il cielo a volte è sereno, delle volte meno, ma mi hai dato grandi ali per volarci dentro e a me mamma, mi sembrerebbe proprio uno spreco non usarle. Quindi vai tranquilla; delle volte, alzando gli occhi dalla terra ferma, sembra tutto nero, solo nero e lampi, ma da qui è tutto un gioco di correnti, fidati, fa meno paura di quel che sembra e poi me l’hai insegnato tu:  cuore alto sopra le nuvole. Guarda che ti ascoltavo, anche se avevo la testa già rivolta in alto, anche se sembravo distratta, non ti preoccupare, mi hai insegnato bene. Ciao mamma, guarda come spicco il volo”

 

 

Coltivare l’assurdo e l’imbarazzo. Istruzioni

Prima di ritrovarci tutti in vacanza ecco una lezione di Yoga in stile Gaia solo per voi. Occhei. Partiamo dal Presente.

La mia finestra da sul terrazzo di uno studio di ragazzi che fanno video, grafica e cose così. Ho appena salutato il mio vicino, gli ho chiesto come và, se chiudono lo studio, insomma, le solite cose da buon vicinato. Era in mutande ovviamente. Più vestita del solito.

Mi stavo godendo l’imbarazzo che si è generato ed ho pensato di raccontarvi un pò delle cose a caso, scherzo. Ho pensato che molti di noi andranno in vacanza in luoghi dove per la maggior parte della gente saranno sconosciuti ed è una fantastica occasione per iniziare a sperimentare l’assurdo ma soprattutto l’imbarazzo. Sappiate che è molto più efficace, io credo, fatto davanti, e con, persone che conosci. Credo sia un dono che fai alla relazione, un atto di amorevole e disarmante coraggio, il tentativo di spostare il confine che ci limita un pò più in la ed in fondo, lasciar spazio per i miracoli.

Esempi pratici: andare ti fronte a tua nonna e chiederle di massaggiarti il sedere, parlare di tuo fratello Gesù alla tua sorella di sangue, saltare fingendo di avere la quinta di reggiseno senza il reggiseno, mangiare più ciliege possibile e contare quanti noccioli riesci a tenere in bocca insieme, cantare canzoni inventate, fare battute oscene con noncuranza, fingere di avere un orgasmo alla finestra, chiedere di annusarti i piedi in un locale pubblico…bah, al momento non ho altri spunti reali che mi vengono in mente.

Coltivare un sano momento di imbarazzo, nel rispetto dell’altro è ovvio, permette il superamento di un rigido schema a favore di un confine più morbido e di una realtà più ampia, allentare le catene del Devo e del Sono mettendosi in situazioni che hanno un alta probabilità di generare risa. Personalmente credo bisognerebbe riuscire ad arrivare ad una pratica d’imbarazzo quotidiana, ma per iniziare una volta alla settimana è più che sufficiente per cominciare a mettere in discussione il conosciuto.

Parentesi. Riflettevo con Daiana sulla parola Miracolo. Siamo arrivati a definire “miracolo per noi” un evento che dona stupore e gioia, vissuto come lo vivrebbe un bambino. Aprirsi all’Assurdo o creare piccoli momenti d’imbarazzo, ci portano verso un presente pieno di Miracoli per cui essere grati, credo inoltre attivi l’ingegno e l’astuzia ma non ci sono ancora ricerche in merito.

La coltivazione dell’assurdo può richiedere dal minuto alla mezzora e può coinvolgere vari interlocutori, cosa assolutamente non necessaria. Nella tecnica proposta un pensiero casuale verrà assunto come vero e ogni ragionamento dovrà avere un non-filo-logico.

Esempio: se il nonno di Heidi avesse visto il ReLeone, magari commuovendosi sentendo il “Cerchio della Vita” avrebbe in qualche modo rielaborato e vissuto meglio i trami. Perchè, se osserviamo con attenzione capiamo che probabilmente oltre al figlio ha perso anche la moglie. Ora ha una nipotina che magari gli ricorda ogni ferita e dovrebbe semplicemente cantare “é una giostra che va….” Ma. Nel cartone non ci sono televisioni ed i vestiti sono decisamente di un altra epoca quindi, come avrebbe potuto? Non si poteva. Anche perchè comunque se capitava di andare in Africa e vedere un leone, quelli non cantano. E Ivana Spagna non era ancora nata. Chissà se la nonna di Heidi era cicciona oppure una di quelle donne fatte di nervi con gli occhi piccoli e scuri…..

La raccolta, il tenersi pronti ad accogliere un pensiero assurdo che emerge dal profondo possono essere vissuti come semplici stimolazione cerebrali, nel loro profondo però io penso smuovano inutili rigidità da età adulta e ci permettano di continuare a mantenere un collegamento saldo e vibrante con lo stupore.

Riassumiamo:

  • Provate ad introdurre esperienze d’imbarazzo nella vostra vita settimanalmente.
  • Prendetevi circa dieci minuti alla settimana per vedere se emerge un pensiero assurdo e coltivatelo con cura. Se questo avviene durante lo svolgimento di altre attività concedevi qualche minuto per esplorarlo o, se non vi è possibile, appuntatelo sul un quaderno o condividetelo con generosità

Avvertenze:

Alcune persone potrebbero avere reazioni forti a contatto con l’assurdo o con l’imbarazzo. Sono stati registrati casi di derisione, immotivata ira e frustrazione. Siate prudenti nel momento in cui condividete con l’esterno da voi, il vostro coltivato assurdo. All’inizio è consigliata la supervisione di Amici fidati a conoscenza della pratica. Per le pratiche di imbarazzo ci sono moltissime piccole cose che si possono fare, si consiglia di iniziare facendo pratica di “bolle nel bicchiere in pubblico” e piccole puzzette con la gamba alta.

In qualunque caso, abbiatene cura.

volevo scrivere un pippone sull’Amore ma per oggi la faccio breve

Non ho mai detto “ti Amo”.

Non per cinismo, eccesso di razionalità o freddezza: chi mi conosce sa quanto mi piace abbracciare, vede i miei occhi riempirsi d’emozione e spesso scuote la testa di fronte al mio amore smisurato per i giochi, per le cose buffe o assurde che adoro condividere con l’altro.

Ma.

Non credo nelle parole “ti Amo” perché non mi piacciono generalmente le parole con un punto finale: mi piace quando un’affermazione apre mondi e galassie, apre la strada ed è un’alba. Mi piacciono le parole che sanno di crescita, di cambiamento e, a loro modo, di realtà.

La parola Amore, e la connotazione con la quale generalmente si usa, equivale quasi ad una condanna a morte, un patto col diavolo che impone un amore anche sedutosuldivanocoicalzinibianchimezzosederedifuoricongliocchiattaccatiallatelevisione.

Ma anche no.

Questo non significa che non amerò i tuoi difetti ma ci saranno giorni nei quali amerò di più me stessa e giorni in cui non avrò amore da condividere con abbondanza, giorni che mi vedranno diversa e magari giorni in cui ti guarderò negli occhi e nulla ci sarà tra noi. E di quei giorni io nella mia vita ora ne voglio pochissimi: voglio ricordare a noi ed a me stessa, che siamo liberi di andare, che ci meritiamo grandi cose e Amori che fanno battere il cuore.

Così nelle ore spese seduta in bagno, luogo che rimane da sempre il mio preferito, tra il riflettere sul perché il Ketchup si chiamasse proprio così e i lunghi discorsi con Gesù, sono arrivata alla conclusione che la cosa per me più veritiera, onesta e bella che in merito all’Amore di coppia si possa dire, o almeno che io posso dire, è “oggi mi sono di nuovo innamorata di Te”.

Oggi, io, quella che sono diventata, quella che si manifesta in questo preciso Presente, con questa precisa quantità di ormoni nel corpo, in questo luogo, si è innamorata di te, quello che sei, per come sei diventato e per come ti manifesti oggi ai miei occhi ed ai miei sensi.

Domani? E che cosa ne so io. Già non ho idea della persona che sarò e se mi piacerà, pensi che abbia la voglia di interessarmi a come potresti magari cambiare tu e riflettere se mi piacerà o meno?!? See certo, hai presente quanti libri potrei leggere nel frattempo che aspetto di capire?

Forse questa è una delle poche cose che sono davvero riuscita a fare mia: la vita è cambiamento, l’unico dato certo e tangibile che abbiamo ed esperiamo è che le cose cambiano. Cambiano magari in maniera quasi impercettibile ma nulla rimane fermo, statico, immobile, nulla che abbia Vita almeno.

Chi vorrebbe un Amore morto nel cuore?

Se posso scambiare, in stile terrone, la parola Amore mio con Vita mea come posso credere che il cambiamento non sia nelle sue radici, nel suo centro, la sua stessa linfa?!

Mi piace dire “oggi mi sono di nuovo innamorata di Te” perché è una frase che presuppone un’osservazione attenta: mi sono sentita emozionata nel vederti entrare dalla porta, io sono stata Presente a me stessa tanto da notare il ritmo accelerato del mio cuore, l’espressione del mio viso cambiare ed una nuova energia salire dai piedi fino agli occhi.

Che l’altro ci sia o meno in quel famoso domani, Tu hai potuto stare con Te, sentire cosa ti suscita la vicinanza di un’altra persona, hai potuto raccogliere dati ed emozioni, catalogare al tuo interno sensazioni da ripetere. So che mi innamoro, di un quadro, di un lavoro o di una torta, perché qualcuno mi ha insegnato cosa si prova ed io sono stata così brava da restare in ascolto.

Non dico “ti Amo” perché lo dicono tutti, ho imparato che è meglio esprimere le emozioni partendo dal Cuore e che dalla bocca.