Diventi adulto quando ti assumi la responsabilità di deludere i tuoi genitori. Quando accetti il rischio di ferirli, di contrariarli, di contraddirli.
Quanto amore dietro le scelte più banali, quanta gratitudine al dì là delle decisioni più rimuginate?
Le donne della mia vita sono mondi imperfetti nei quali amo perdermi e ritrovarmi; sono occasioni di profondità e, anche se non lo sanno sempre, loro sono il mio oceano, il mio abisso, ed io faccio sub. Ho imparato che il loro buio è il mio buio e mi piace: poter abbracciare da fuori un problema, intravvedere una soluzione e metterla in pratica nella vita, la mia.
I viaggiatori hanno occhi grandi e, spesso, valigie di sensi di colpa.
Perché partire non è solo comprare un biglietto aereo, ma anche lasciare la casa del sangue e la società in cui essa è inserita per cercare di giocare con altre regole, le tue e per provare a stare ad un altro passo, il tuo.
“Diventi adulto quando ti assumi la responsabilità di deludere i tuoi genitori” perché in fondo ciò che ogni figlio vorrebbe è amore: vuole sentirsi accettato e degno di quel primo micro mondo che è la famiglia, vuole che si sia orgogliosi di lui e forse, per un certo periodo, che loro siano orgogliosi di noi è più importante che esserlo noi di noi stessi.
Poi, capita, che uno si accorge che più cerca di stare a quel passo più affanna. Capita che sei arrabbiato, sempre, e non sai più perché. Succede che nulla ti emoziona, che tutto ti annoia, e sei semplicemente stanco. Di te.
Ti rendi conto che quel senso di colpa in cui inciampi quando vai oltre l’affanno, la rabbia o la noia, è un profondo ma limitante amore.
E’ un rito di passaggio, una catarsi. Ti rendi conto che volente o meno non potrai mai essere perfettamente “come pensi loro ti vogliano” anche solo perché fate parte di due generazioni diverse, perché il posto fisso o la casa di proprietà non sono più l’obiettivo primario della società in cui vivi. Finisce che ti trovi di fronte alla scelta di essere genitore di te stesso.
Ti rendi conto che è tempo di sollevarli dall’incarico per quanto destabilizzante possa essere.
Licenziare i propri genitori dal ruolo di “detentori della verità” non è un atto teatrale esterno, non prevede urla o discussioni ma la presa di consapevolezza interna che è tempo per il Sé di riappropriarsi del suo potere, una atto di responsabilità, il decidere o forse, il semplice rendersi conto che alla fine del viaggio, nella solitudine degli ultimi istanti, l’unico giudice presente sarai tu. Tu solo osserverai la tua vita e saprai se è stata davvero una di quelle che valeva la pena vivere.
Renditi orgoglioso. Renditi felice.
Ci fu un attimo di silenzio.
“Ma sei completamente impazzito?” chiese poi rianimandosi all’improvviso. “Con la crisi che c’è in giro lasci un lavoro in banca? Ma sei scemo, Luca? Che ti passa per la testa? Cristo santo, che follia è mai questa?”
“E’ una follia, si. Ma è la cosa giusta. E’ l’unica cosa giusta”
“Luca dimmi che è uno scherzo” disse mia madre con un filo di voce.
Mi avvicinai a lei e le presi le mani nelle mie. Mi ero preparato con sofferenza a quel momento.
“Mamma, voglio che mi ascolti bene. So che tutto questo ti sta agitando molto. So che ti comporti in questo modo perché mi vuoi bene. So che cerchi di proteggermi…ci hai sempre provato. Ma non sono più un bambino. Sono un uomo adulto. Accettalo. E accetta il fatto che non tutto debba sempre andare come vorresti tu. Le tue priorità non sono le mie. Ciò che per te è importante magari non lo è per me..ma lo rispetto comunque. Ti chiedo di fare lo stesso: anche se ora non lo capisci, anche se ti sembra che io stia buttando via la mia vita, ti prego di capirmi. Non ostacolarmi. Non supportarmi, se non vuoi o non ci riesci. Ma non rendere tutto più difficile di quanto già è.”
Glielo dissi guardandola negli occhi. Lei non distolse lo sguardo neanche per un secondo. Poi mi rivolsi a entrambi.
“C’è una cosa che ho capito solo recentemente, ma ci credo molto…chi ti ama davvero vuole vederti felice, anche se ciò significa lasciarti andare. Chi ti vuole vicino e infelice, invece, ha a cuore solo la sua felicità. Non siate quel genere di genitori. Non vi ho mai chiesto niente, ma questa volta sì….siate felici di lasciarmi andare. Siate felici di vedermi partire…vi prego.”
Quando finii, mia madre disse solo due parole, ma furono la miglior dichiarazione di affetto che mi avesse mai fatto.
“Va bene.”
La ringraziai con gli occhi.
“Ma come, va bene?” chiese mio padre. “Questo si è licenziato per viaggiare e va bene? Ma che diavolo state dicendo? Siete impazziti tutti e due?”
“Tu non puoi capire” dissi a mio padre.
Mio padre fu colpito in pieno dalla mia risposta, criptica e al tempo stesso perfettamente comprensibile.
“Come vi dicevo, parto” ripresi. “Vado a Bali…”
“A Bali?” chiese lui sbalordito.
“…con un biglietto di sola andata” prosegui senza badare alla sua reazione. “Non so quanto ci starò. Non so ancora niente in realtà”
“Ma perché fai questa cosa?”
Guardai mia madre, e in quel momento mi parve più magra e fragile che mai. Nei suoi occhi, però, leggevo qualcosa che mi diede un gran coraggio: comprensione. Forse ciò che stavo facendo lo avrebbe voluto fare lei tanti anni prima. Scappare da mio padre, lasciarsi alle spalle il dolore e l’infelicità. Incredibilmente, fui grato a Sara di avermi tradito e aver scongiurato quello scenario. Con un anello al dito e un figlio, forse non avrei più potuto fare una cosa del genere.
“Scappo dalla mia infelicità. Scappo da Sara che mi ha strappato un sogno. Scappo da questa città che non ho mai amato. Sento il bisogno di scappare, andare lontano. Voglio stare un pò da solo, ma non qui. Con tutti i fantasmi che ho nella testa e con tutto ciò che ho intorno, non riuscirei mai a stare da solo. Ho bisogno di silenzio…ho bisogno di partire.”
Nessuno dei due disse più nulla.
Come una notte a Bali, Gianluca Gotto