Sensi di colpa e Amore

Diventi adulto quando ti assumi la responsabilità di deludere i tuoi genitori. Quando accetti il rischio di ferirli, di contrariarli, di contraddirli.

Quanto amore dietro le scelte più banali, quanta gratitudine al dì là delle decisioni più rimuginate?

Le donne della mia vita sono mondi imperfetti nei quali amo perdermi e ritrovarmi; sono occasioni di profondità e, anche se non lo sanno sempre, loro sono il mio oceano, il mio abisso, ed io faccio sub. Ho imparato che il loro buio è il mio buio e mi piace: poter abbracciare da fuori un problema, intravvedere una soluzione e metterla in pratica nella vita, la mia.

I viaggiatori hanno occhi grandi e, spesso, valigie di sensi di colpa.

Perché partire non è solo comprare un biglietto aereo, ma anche lasciare la casa del sangue e la società in cui essa è inserita per cercare di giocare con altre regole, le tue e per provare a stare ad un altro passo, il tuo.

“Diventi adulto quando ti assumi la responsabilità di deludere i tuoi genitori” perché in fondo ciò che ogni figlio vorrebbe è amore: vuole sentirsi accettato e degno di quel primo micro mondo che è la famiglia, vuole che si sia orgogliosi di lui e forse, per un certo periodo, che loro siano orgogliosi di noi è più importante che esserlo noi di noi stessi.

Poi, capita, che uno si accorge che più cerca di stare a quel passo più affanna. Capita che sei arrabbiato, sempre, e non sai più perché. Succede che nulla ti emoziona, che tutto ti annoia, e sei semplicemente stanco. Di te.

Ti rendi conto che quel senso di colpa in cui inciampi quando vai oltre l’affanno, la rabbia o la noia, è un profondo ma limitante amore.

E’ un rito di passaggio, una catarsi. Ti rendi conto che volente o meno non potrai mai essere perfettamente “come pensi loro ti vogliano” anche solo perché fate parte di due generazioni diverse, perché il posto fisso o la casa di proprietà non sono più l’obiettivo primario della società in cui vivi. Finisce che ti trovi di fronte alla scelta di essere genitore di te stesso.

Ti rendi conto che è tempo di sollevarli dall’incarico per quanto destabilizzante possa essere.

Licenziare i propri genitori dal ruolo di “detentori della verità” non è un atto teatrale esterno, non prevede urla o discussioni ma la presa di consapevolezza interna che è tempo per il Sé di riappropriarsi del suo potere, una atto di responsabilità, il decidere o forse, il semplice rendersi conto che alla fine del viaggio, nella solitudine degli ultimi istanti, l’unico giudice presente sarai tu. Tu solo osserverai la tua vita e saprai se è stata davvero una di quelle che valeva la pena vivere.

Renditi orgoglioso. Renditi felice.


Ci fu un attimo di silenzio.

“Ma sei completamente impazzito?” chiese poi rianimandosi all’improvviso. “Con la crisi che c’è in giro lasci un lavoro in banca? Ma sei scemo, Luca? Che ti passa per la testa? Cristo santo, che follia è mai questa?”

“E’ una follia, si. Ma è la cosa giusta. E’ l’unica cosa giusta”

“Luca dimmi che è uno scherzo” disse mia madre con un filo di voce.

Mi avvicinai a lei e le presi le mani nelle mie. Mi ero preparato con sofferenza a quel momento.

“Mamma, voglio che mi ascolti bene. So che tutto questo ti sta agitando molto. So che ti comporti in questo modo perché mi vuoi bene. So che cerchi di proteggermi…ci hai sempre provato. Ma non sono più un bambino. Sono un uomo adulto. Accettalo. E accetta il fatto che non tutto debba sempre andare come vorresti tu. Le tue priorità non sono le mie. Ciò che per te è importante magari non lo è per me..ma lo rispetto comunque. Ti chiedo di fare lo stesso: anche se ora non lo capisci, anche se ti sembra che io stia buttando via la mia vita, ti prego di capirmi. Non ostacolarmi. Non supportarmi, se non vuoi o non ci riesci. Ma non rendere tutto più difficile di quanto già è.”

Glielo dissi guardandola negli occhi. Lei non distolse lo sguardo neanche per un secondo. Poi mi rivolsi a entrambi.

“C’è una cosa che ho capito solo recentemente, ma ci credo molto…chi ti ama davvero vuole vederti felice, anche se ciò significa lasciarti andare. Chi ti vuole vicino e infelice, invece, ha a cuore solo la sua felicità. Non siate quel genere di genitori. Non vi ho mai chiesto niente, ma questa volta sì….siate felici di lasciarmi andare. Siate felici di vedermi partire…vi prego.”

Quando finii, mia madre disse solo due parole, ma furono la miglior dichiarazione di affetto che mi avesse mai fatto.

“Va bene.”

La ringraziai con gli occhi.

“Ma come, va bene?” chiese mio padre. “Questo si è licenziato per viaggiare e va bene? Ma che diavolo state dicendo? Siete impazziti tutti e due?”

“Tu non puoi capire” dissi a mio padre.

Mio padre fu colpito in pieno dalla mia risposta, criptica e al tempo stesso perfettamente comprensibile.

“Come vi dicevo, parto” ripresi. “Vado a Bali…”

“A Bali?” chiese lui sbalordito.

“…con un biglietto di sola andata” prosegui senza badare alla sua reazione. “Non so quanto ci starò. Non so ancora niente in realtà”

“Ma perché fai questa cosa?”

Guardai mia madre, e in quel momento mi parve più magra e fragile che mai. Nei suoi occhi, però, leggevo qualcosa che mi diede un gran coraggio: comprensione. Forse ciò che stavo facendo lo avrebbe voluto fare lei tanti anni prima. Scappare da mio padre, lasciarsi alle spalle il dolore e l’infelicità. Incredibilmente, fui grato a Sara di avermi tradito e aver scongiurato quello scenario. Con un anello al dito e un figlio, forse non avrei più potuto fare una cosa del genere.

“Scappo dalla mia infelicità. Scappo da Sara che mi ha strappato un sogno. Scappo da questa città che non ho mai amato. Sento il bisogno di scappare, andare lontano. Voglio stare un pò da solo, ma non qui. Con tutti i fantasmi che ho nella testa e con tutto ciò che ho intorno, non riuscirei mai a stare da solo. Ho bisogno di silenzio…ho bisogno di partire.”

Nessuno dei due disse più nulla.

Come una notte a Bali, Gianluca Gotto

Questo secondo Capodanno

Me lo immagino questo nuovo inizio, un secondo capodanno, la lista dei buoni propositi: più cura di me, più tempo di valore, più allenamento e più felicità, più investimento sui miei talenti.

Yeah! WOW!

Come no!

Quindi via di corsi di yoga e di crescita personale! Obiettivo la miglior versione di sè.

Yeah! WOW!

Ho pensato di stilare per voi, Cari, la mia personale lista delle più comuni tentazioni, dei tranelli interni ed esterni, in cui si può cadere nella scelta di una strada per la ormai inflazionata “Versione Migliore di Sè”, per evitare che nell’entusiasmo della ripartita la VMdS finisca per essere solo l’ennesima gabbia o frustazione.

Partiamo quindi con:

1. Chiarisci il tuo o i tuoi PERCHÉ

Cos’è il successo? Cos’è il talento per te? Cos’è la libertà finanziaria? Quali sono i modelli positivi a cui ti ispiri?

Se non abbiamo chiaro il perché e cosa stiamo cercando, rischiamo di andare incontro a delusioni e fraintendimenti.

Desidero un lavoro su di me accogliente e delicato? C’è Alice di Ritualmente. Ho bisogno di un taglio più maschile, pochi fronzoli e decine di articoli in cui sfogare la mia voglia di iniziare a capirci qualcosa, sempre con un occhio rivolto al fare? C’è Andrea Giuliodori ed Efficacemente. Sento che è il momento di entrare più in profondità, voglio un lavoro che mi impieghi tempo ed un bel pò di sforzo, d’indagine, di messa in discussione, con un pizzico di atmosfera magico galattica? Roberta Zanetti con Supernova. Poi c’è Cecilia Sardeo col suo taglio giovanile e Nicole Zunino col suo sorriso che affrontano la crescita di un business consapevole mettendo tutte le loro competenze in gioco, la community di Meverick’s di Federico Pistono e l’ironia di Just Mick.

Questi sono solo alcuni dei professionisti, la cui unicità, può aiutarci a far luce su noi stessi per ottenere la famosa vita che desideriamo. Solo se abbiamo ben chiaro che “così come non esiste un’unico tipo di pizza non esiste un modello unico di felicità uguale per tutti” ci concederemo del tempo per osservare le diverse alternative alla ricerca di cosa in questo momento è più in linea coi nostri valori, le nostre necessità ed i nostri bisogni.

Mal che vada si può sempre partire dal classico di Simon Sinek “Partire dal Perchè”, più d’ispirazione di così.

2. Avrai bisogno di investire spazio e tempo

Diffida da chi evita accuratamente di sottolineare che per ottenere qualche risultato bisogna rimboccarsi le maniche e metterci determinazione e costanza. Diffida dal “tutto e subito”, dagli estremi e dall’assolutismo sfacciato.

I migliori insegnanti non ti chiederanno di credere per fede ma ti inviteranno a mettere in discussione ogni tua certezza e provare a seguirli per un periodo medio lungo che va da un mese ad un anno.

Evita di pretendere da te stesso di imboccare la strada perfetta al primo colpo. Io non conosco nessuno che l’ha fatto, ma conosco invece moltissime persone che hanno passato i primi anni della ricerca a cambiare e provare, conoscendosi sempre un pò di più e scoprendo, lungo la via, che le prime esperienze erano spesso prese sull’onda di una moda, di un’idea astratta o di una “dis-conoscenza” di sé stessi.

3. E’ un investimento monetario

Così come non hai accesso gratuito alla palestra, allo stesso modo i migliori allenamenti per i muscoli interni sono a pagamento. La maggior parte dei personaggi di cui ti ho parlato sopra hanno canali youtube, account social o blog in cui mettono a disposizione strumenti gratuiti, nei quali puoi iniziare a familiarizzare col loro personale modo di affrontare i diversi argomenti e cercare di capire se ed in che ambito fanno per te, ma la vera differenza la troverai impegnandoti prima di tutto economicamente, compiendo una scelta ed impegnandoti a trarre il massimo da questa.

Quindi si alla lista dei buoni propositi, si alla voglia di uscire da questo periodo imboccando una nuova strada, si all’entusiasmo da sole cuore e amore ma sempre ricordando che la vera differenza, all’inizio di un cambiamento, la fanno le domande e la strada che si decide di percorrere nella ricerca delle proprie personali risposte.

Come farsi amica una domanda per lasciar parlare il cuore. Ovvero l’ennesima lettera d’Amore alle donne della mia vita.

Riesci a vedere gli ostacoli come benedizioni?

Ci penso, mi prendo tempo eppure mi rendo conto di tutto il rancore che ancora covo al mio interno. Sorrido cercando di accettare che reagisco, ancora una volta, anche solo nel dialogo con me stessa, come una vittima e non come il regista della mia vita, come l’artefice del quadro.

Osservo la difficoltà. Consapevole di avere il potere di decidere con quali emozioni guardare al mio passato; un punto sfocato nel quale riversare rabbia o accettazione, senso di sconfitta o la consapevolezza di aver fatto il meglio possibile coi limiti e le convinzioni di chi ero allora.

Mi fermo da immobile. Seduta sul divano faccio un respiro profondo e raddrizzo la schiena.

Sarei disposta a lasciare ciò che ho ora?

Perché se riconosco la difficoltà di vedere tutti gli ostacoli come benedizioni, sono allo stesso modo certa dell’infinita gratitudine per tutto ciò che ne è venuto dopo. Penso al susseguirsi di Donne che, dal matriarcato di sangue in cui sono nata, sono arrivate nella mia vita, all’importanza che hanno avuto, agli insegnamenti che hanno portato e per quanto non mi veda ancora come la versione migliore di me, di certo nella loro presenza c’è la speranza che a poco a poco, a mio modo, io possa integrare e fare mia tutta la loro bellezza.

Sorrido. Gli ostacoli e le cadute del mio passato sono state grandi menate, alcune delle scelte che ho fatto decisamente pessime e fatte assolutamente col culo anziché col cuore. Però va bene così.

Finirò per sembrare ripetitiva ma se è servito ad avere Voi nella mia vita, posso decisamente accettarle.

Alla fine sarebbe stato come fermarsi al primo bel libro letto, certo mi sarei evitata testi di cui manco ricordo la trama, ma avrei perso Cesare Boni, la Pinkola Estés, Sibaldi, Terzani, Walsh, la Rowling e Philip Pullman. No way.

Forse delle volte basta solo prendere una piccola deviazione per far risuonare una domanda, rigirarsela tra le mani e lasciare che trovi l’angolazione migliore. Le domande sono porte, la chiave personale.

Boccioli al sole

All’interno del bocciolo c’è buio, il calore è tanto, è il fuoco della trasformazione, la spinta ad essere.

Il bocciolo è bellezza e colori in potenza, l’acerbità un’occasione di dolcezza.

Guidata dalle parole della Zanetti prendo ogni incompletezza come una possibilità, l’irritazione ed il giudizio lascio che diventino cenere, concime per la terra, nutrimento amorevole verso un’essere che è già perfetto così com’è, nel suo evolvere; nel suo procedere solo il ritmato andare dell’universo.

Allora ad occhi chiusi osservo la potenza del giudizio farsi accettazione, la procrastinazione e l’insicurezza sbocciare in gratitudine per ogni piccolo passo ed è meraviglia quando nell’oscurità lascio penetrare la luce ed una miriade di sfumature prendono forma dentro ed intorno a me.

Il lavoro c’è, la trasformazione brucia e la paura delle volte rende il buio denso, l’aria quasi irrespirabile e la voglia di spingere, di cambiare forma, viene quasi meno. Bisogna scegliere con cura il nutrimento ed affidarsi a lui nei momenti di sconforto. Ogni bocciolo diventa fiore, ognuno a suo tempo, ognuno coi suoi colori.

Lascio che fiducia e meraviglia mi guidino. Nel buio del bocciolo brucio, chissà che colori si imprimeranno su ogni mio petalo.

In Perfetta

Osservavo le nuvole nella mia piccolezza di Donna, una pausa dalla lettura vorace, quel bisogno di parole, di quel muto dialogare, che per me fanno dei libri una delle migliori compagnie possibili.

Stacco la testa per prendere fiato, mi accorgo del sapere che accumulo, della preziosa consapevolezza del tempo libero che posso scegliere di gestire, di ogni volta che rinuncio all’azione rifugiandomi tra le pagine. Se non nutro il corpo che almeno sia nutrita la mia testa. Discorsi approssimativi e pericolosi, la vita vera si conta in azioni mi dico.

Rischio di varcare la soglia che è il giudizio, quell’oltre fatto per abbassare ancor di più la stima in noi stessi, per metterci addosso quel senso di resa che ci tiene intrappolati nelle abitudini, nel conosciuto, nel “sono fatta così”.

Sono fatta così dice l’albero ed il seme, ogni germoglio sui rami mentre inesorabile sboccia e cade insieme alle foglie. Fatto così si, cambiamento, perfetto divenire.

Nel cielo si susseguono le nuvole, le macchine per strada, i rumori, i miei respiri. Decido che va bene, sono in-perfetta. Perfetta dentro.

Penso a quell’in che si fa colorato ed immenso, sorrido fiera della presa lieve dei miei pensieri, della possibilità concessa da un nuovo punto di vista e me lo ripeto ancora un volta. Vado bene così perché so di essere perfetta dentro, e tutto questo fuori?! Beh, è come una casa dalle buone fondamenta a cui serve una bella riverniciata, magari un cambio degli infissi e forse, perché no, anche una revisione degli scarichi.

Il discorso si fa diverso, tra me ed il cielo ormai senza nuvole; è un dialogo di volontà e perseveranza, di consapevolezza di tutte le comodità e definizioni che lascio che mi fermino, meno accusatorio ma molto più realistico, poco delicato forse ad un primo sguardo col suo agire responsabile e la presa del timone, ma dalla mia in-perfezione imparo a trarre la certezza che esiste un unico modo per sbocciare di primavera, il lasciarsi cambiare.

Lutti e nascite

E così alla vigilia della mia messa al mondo mi prendo un attimo, quasi fuori luogo, di silenzio. Me lo prendo dal ristorante e dalle comparse di un estate che vorrebbero una scusa per aprire bottiglie di prosecco, che francamente a me non piace, mi prendo un attimo anche dal compagno a cui devo profonda gratitudine, mi prendo o almeno cerco di prendermi un attimo anche da me, da questa testa che guarda ed osserva, da questo cuore che pulsa e dal respiro che riempie gli occhi.

Sospesa resto nella penombra, lascio che tutto ciò che sono sia, senza escludere nulla, dalla puzza di tabacco all’odore di palo santo e oli essenziali che pervade la camera ed i miei vestiti, dal lavoro di cameriera fino a quel dono di sentire oltre, ogni riga letta che mi è parsa più reale della realtà fino alle banalità in cui cado senza nemmeno accorgermene.

Dentro di me, al fianco, ancora una volta c’è quella presenza di Donne a cui vorrei assomigliare un po’. Sorrido pensando ai lati che abbiamo imparato a far coincidere, a quelli che voi stesse avete voluto rimanessero spigoli, fiere di quella diversità, di quel minimo punto di contatto. A ritroso penso al grembo che mi ha dato alla luce. Alla Donna, che prima di essere madre è stata bambina, ragazza, femmina, indipendente testarda, ai suoi sogni, a tutti i compromessi che sono venuti dopo, alla fatica, ai rospi, all’amore di quel dopo.

Ciao mamma, tra poche ore smetti di essere Donna e diventi madre. Nella tua testa chissà se ti immagini quante te ne farò passare, chissà se ci pensi a questa cuspide leone-vergine che tanto sogna quanto si arrabbia, chissà se ci pensi che oggi lasciando la tua femminilità nelle mani del mio mocio lasci indietro anche una parte di te. La mia nascita è un lutto, nulla di drastico, un cambiamento come tanti, ma ora io, nel mio essere Donna, ti riconosco. Tra poche ore, mamma diventerà il tuo nome, finirai per abituartici, finirai per pretendere di essere chiamata così in privato come in pubblico e non hai idea di quale sacrificio stai compiendo. Sacrificare viene da “rendere sacro”, oggi io faccio sacro il tuo Nome, anche se non mi permetterai di usarlo.

C’è un sacco di dignità nella storia che hai scritto, lo pseudonimo in copertina puoi lasciarlo andare.

Inno alle nonne che spiccano il volo

E fu così che mia nonna divenne farfalla, con la luna piena ad indicarle la via del cielo.

Come ogni nonna che si rispetti non ha lasciato nessuna ricetta replicabile, le sue spiegazioni erano tutte “un fià di questo, una manciata di quello” e via di occhi al cielo e mani giunte per le scorte in frigorifero. Saranno lasagne, risate e lacrime sulla nostra tavola.

Come ogni nonna di campagna che si rispetti, la sua casa è un mercatino chic dell’antiquariato in cui sacro e profano si mischiano: senza pietà per il buon gusto per ogni santino c’è una bomboniera di quelle che tu rifileresti al cestino mentre lei decorava con fiori finti. Saranno rosari e madonne quelle che avremo in eredità.

Come ogni nonna che si rispetti della sua vecchiaia ne ha fatto un vanto di saggezza e sfrontatezza; si poteva permettere di ricordarti che nella vita bisogna fare ciò che rende felici, pregare il Signore (“che sia fatta la sua volontà”) e far uscire velocemente dalla testa ciò che la gente dice mentre lei in balcone in accappatoio si sentiva completamente a suo agio a sgusciare piselli per il ragù. Saranno le parole che ci ricorderemo a vicenda nei momenti più bui, quando non ci saranno schiscette da portare a casa, voti su come siamo vestite o baci dati a ripetizione.

Come ogni nonna che si rispetti ha lasciato un giusto senso di vuoto e serenità, uno spazio libero in cui lasciare che la natura ci riversi Amore e possibilità; ha atteso ed alla fine è partita per il suo pellegrinaggio senza voltarsi indietro, giustamente stufa delle membra stanche, fiera delle donne che ha visto crescere, decisa a sistemare i conti che aveva lasciato in sospeso. Saranno attimi quelli che ci vedranno vacillare di fronte ad un ricordo, per il resto del tempo sarà la dolce consapevolezza di far parte di un albero che hai nutrito come meglio hai potuto per una vita intera.

Sarà gratitudine. È gratitudine.

Per ogni ragù, per ogni sugo coi piselli, per le pinze, per i rosari d’estate e quelli recitati insieme prima di dormire, per i soldi dati quasi di nascosto come si trattasse di qualche traffico illegale, per quegli abbracci in cui credevi di morire, per le mani giunte, per ogni voto sulla sodezza del nostro sedere, per tutte le emozioni e le risate, per ogni volta in cui ti sei lasciata prendere in giro e per tutte le volte in cui hai chiesto il braccio per scendere le scale, per la grappa che disinfetta, per le puntate di Beautiful, per il pan biscotto, per i ricordi che hai condiviso, per la terra che hai arato, per tutte le volte in cui ti bastava solo sapere che eri nei nostri pensieri e chiamarti era una questione di 30 secondi che poi dovevi andare dalla Rosa a prendere il caffè, grazie.

“ciao nonna”

“ciao”

“hai capito chi sono?”

“Lu.. Bar.. Fe.. Er.. Il…”

“si va beh nonna sono la Gaia”

“ah ciao cara, tutto bene?”

“si nonna tutto bene, ma tu? Come stai?”

“si tira avanti sai… Sia”

“sia fatta la Sua volontà… Ma cosa stavi facendo?”

“vado dalla Rosa a fare merenda che poi tua mamma alle sei ci porta alla messa”

“ok nonna, di una preghiera anche per me”

“La dico sempre mì, per tutte.. Per te, per la Silvana, per Fabrizio, per tutti. Ciao cara ciao”

“si va bene nonna, allora ciao. Ti voglio bene”

“Anca mì, anca mì. Ciao ciao”

“ho capito che hai fretta eh, buon caffè allora”

Tu tu tu tu.

Che tipa. Riattacca così. Che poi che cavolo ha da fare?! La Rosa abita a trenta secondi di distanza, a piedi, mica si fredda il caffè.

Buchi neri e notti senza luna.

Perché è importante lavorare sulla propria storia?

Cosa rende così vitale la presa di coscienza del luogo da dove veniamo, delle sue abitudini, delle sue paure e dei suoi trascorsi?

I buchi neri esistono in natura ed in noi, fori d’oscurità imprevedibile, attimi fuori dal tempo in cui ogni reazione pare slegata dal comune movimento di causa ed effetto.

Quando finiamo in buco nero emozionale poche cose possono farci d’appiglio e la terra manca sotto i piedi come l’ossigeno nell’aria; nessun punto fisso o qualcosa che sentiamo possa nutrirci e farci stare meglio.

Se tutto è buio intorno a me io chiudo gli occhi nonostante la paura, da quella notte così oscusa mi faccio avvolgere e sento. Sento il cuore battere più veloce, la bocca dello stomaco chiudersi e l’aria farsi strada a tentoni nei miei polmoni. In quel buio lascio le mie fuggevoli emozioni libere mentre a fatica mi immergo oltre la superficie.

Ripercorro la strada fatta senza nessun giudizio, accetto ogni scelta semplicemente per quello che è, nella consapevolezza della finitezza umana e nella consapevolezza che ho sempre cercato di fare il meglio che potevo con quello che avevo. Lascio da parte le cadute, quelle le fanno tutti, mentre ricordo ogni volta che mi sono rialzata, ogni mattina in cui mi sono rimboccata le maniche, ogni sorriso che ho regalato e le cose belle che la vita, nonostante tutto e nonostante me, mi ha donato.

Osservo le incrinazioni del quadro famigliare che mi ha accolta e cresciuta, alzo le spalle alla storia che ci accomuna e chino il capo alla fatica che ogni parente di sangue ha fatto per andare oltre quelle convinzioni; torno ad osservare la strada fatta, coi mezzi che avevo e per l’orizzonte che allora vedevo. Mi rialzo. Tengo gli occhi chiusi perché il buio è diventato conosciuto, né amico né nemico, solo un momento di buio.

La notte non dura un battito di ciglia, i nostri occhi hanno bisogno di tempo per farsi capaci di scorgere i dettagli. Le ferite non guariscono con uno schiocco di dita, hanno bisogno di tempo, danno fastidio e prudono guarendo. Impariamo dalla natura solo quando ci è più comodo invece di rimane ad osservare ogni suo aspetto, ci aspettiamo che l’Anima si laceri e guarisca senza prendercene cura e lo faccia senza dar fastidio o prudere.

Eppure funziona sempre nello stesso naturale modo. Ci feriamo, disinfettiamo, lasciamo che si formi con irritazione la crosta, resistiamo alla tentazione di grattarla via, aspettiamo e aspettando usiamo unguenti delicati che ci aiutino a sopportare l’attesa.

La vita ci strappa e noi cerchiamo conforto nelle persone Amiche, poi aspettiamo che si formi una crosta dura che a volte è apatia ed altre rabbia, mentre guarisce ricordiamo a noi stessi che è parte del processo quel senso di disagio che sentiamo prenderci da dentro, utilizziamo parole delicate, riportiamo alla mente ogni piccolo abbraccio e le cose per cui vale la pena sorridere mentre aspettiamo che la ferita guarisca e non ce ne dimentichiamo quando sembra guarita perché sappiamo che alla luce del sole rimangono segni, ci prendiamo ancora cura di lei.

Rendiamo grazie. Ci offriamo una tregua.

La coppetta mestruale .Punto.

Mamma perdonami la franchezza.

Allora: mettere in bocca il pene di qualcun’altro si ma toccare con le mani la Tua vagina è “che schifo?!?” Ma tu scusa, non ti masturbi? Pensi sia più igienico un pene delle tue mani? Non capisco.

Dato che si chiama “coppetta mestruale” mica si tratta di trattenere il tuo proprio sangue con le mani, che poi anche se fosse, non lo tocchi mica quando ti lavi? O durante il ciclo tu non ti lavi la vagina per paura di sporcarti?

Conosco donne che rispondono con ferma negazione alla possibilità di usare una coppetta ma che usano normalmente dei tampax, per cui il problema non è tanto l’inserire, è proprio la bigottaggine, il non volersi fermare per partito preso a sentire i benefici ed il risparmio annesso.

Ora, dato che sono convinta che ogni donna possa scegliere in libertà cosa sia meglio per lei, il problema, ancora una volta ai miei occhi, sta proprio nel vocabolario, nella reazione di disgusto imposta da secoli di chiusura mentale, da un retroscena di vergogna di cui è il caso di liberarsi. Se ti dico che io la uso, rispondimi con la tua testa, dimmi “non me la sento, al momento non ho alcun interesse ai risvolti ecologici della cosa o non so bene di cosa si tratta” ma, per favore, e fallo per te stessa, non dirmi con semplice superficialità “che schifo” perché il tuo mestruo si merita di più, la tua vagina si merita di più, tu ti meriti di più e la possibilità di avere figli merita di più.

Perché non esiste un giorno perfetto che non abbia al suo interno una grandiosa alba ed uno strabiliante tramonto, non esiste nascita senza morte, non esiste fecondazione senza perdita. Non esiste Natura, non esiste Vita.

Non esiste la possibilità di godere di un gran banchetto senza una sana e corposa defecazione.

Quindi sai cosa c’è: io sono una Donna e si, ho il mestruo e si, sanguino e quel sangue è una benedizione e se permetti penso sia comunque più igienico di un qualsiasi pene.

Il branco che ti scegli

Parlavo di donne con la mia Buddydelcuore, che è andata con Ficara a fare un giro nelle sue Stanze dell’Immaginazione ed è tornata per metà.

Sempre a parlare di donne che ci potete fare, voi però declinate pure tutto al maschile se volete. Io d’altra parte posso raccontare solo ciò di cui faccio esperienza perchè qui sta la mia Vita e la mia verità, non abbiatene a male ordunque.

Io e la mia Buddydelcuore, si diceva, parlavamo di donne e di branchi, perchè di questi tempi, in questa rivoluzione del femminile che accede alla forza del suo cuore per illuminare e dare vita e ragione ad un nuovo modo di sentire e portarsi nel mondo, si sente spesso del bisogno di lasciar andare i modelli di donne che ci hanno allevato per ricercare e creare un nuovo branco di donne che si ispirino a vicenda, si supportino, si spintonino oltre il limite.

Il modello di donna che spesso ci ritroviamo per forza di sangue diventa qualcosa da mettere un attimo sullo sfondo, qualcosa da cui porre distanza, qualcosa a cui guardare con sospetto quasi con la sottile sensazione che sia quello stesso modello il limite alla nostra evoluzione. C’è chi si allontano in punta di piedi e chi compra una serie di biglietti aerei ma alla fine ciò che muove da dentro è la ricerca di un branco alla cui appartenenza si arrivi per merito, una ricerca che si muove da Anima e che proprio perchè parte nelle profondità del nostro sentire è spesso intensa oltre alle aspettative, piena di miracoli e cadute, piena di Assurdo.

Il branco che si forma allora assume forme ed ampiezze inaspettate, raduna in sè età ed esperienze che a occhi esterni paiono inconciliabili, apre a dialoghi di profonda bellezza, lascia spazi di creazione in cui si riversano talenti da condividere.

Nota per le Donne del mio Branco

Grazie. Abbiamo tagli e lividi addosso ma sappiamo vedere ancora tutta la bellezza che ci circonda ed io sono riuscita a farlo, e delle volte capita ancora oggi, solo grazie ai tuoi occhi, perchè ho seguito a dove volgeva il tuo sguardo e ci ho sempre trovato un’orizzonte inaspettato, nuove aperture, nuove possibilità. Ci siamo scelte ma non è scontato per me il tuo volermi accanto, lo continuo a vivere come un onore e spero sia per te lo stesso. Quando ho lasciato la casa del sangue non sapevo cosa avrei trovato fuori, spesso mi sono unita a gruppi per paura della solitudine, per il timore che non ci fosse un branco a cui appartenere quindi oggi quando mi guardo attorno e vi vedo, quando mi perdo nei vostri sguardi, non posso che sorride e desiderare abbracciarvi forte, sentire ancora una volta che siete reali. L’Assurdo e la Meraviglia ci conducono in viaggi che delle volte non sappiamo nemmeno noi cosa, dove o qual’è il fine, ma la possibilità di aver accesso alle nostre diverse esperienze, ai talenti, alle qualità di ognuna, riesce sempre a darmi coraggio. Delle volte quando mi figuro davanti la sfida, alle mie spalle si apre uno spazio tra i mondi e vi sento al mio fianco, è come un ventaglio di Anime che sono ali per volare. Mi auguro di essere per te piuma. Con Amore.