Questo secondo Capodanno

Me lo immagino questo nuovo inizio, un secondo capodanno, la lista dei buoni propositi: più cura di me, più tempo di valore, più allenamento e più felicità, più investimento sui miei talenti.

Yeah! WOW!

Come no!

Quindi via di corsi di yoga e di crescita personale! Obiettivo la miglior versione di sè.

Yeah! WOW!

Ho pensato di stilare per voi, Cari, la mia personale lista delle più comuni tentazioni, dei tranelli interni ed esterni, in cui si può cadere nella scelta di una strada per la ormai inflazionata “Versione Migliore di Sè”, per evitare che nell’entusiasmo della ripartita la VMdS finisca per essere solo l’ennesima gabbia o frustazione.

Partiamo quindi con:

1. Chiarisci il tuo o i tuoi PERCHÉ

Cos’è il successo? Cos’è il talento per te? Cos’è la libertà finanziaria? Quali sono i modelli positivi a cui ti ispiri?

Se non abbiamo chiaro il perché e cosa stiamo cercando, rischiamo di andare incontro a delusioni e fraintendimenti.

Desidero un lavoro su di me accogliente e delicato? C’è Alice di Ritualmente. Ho bisogno di un taglio più maschile, pochi fronzoli e decine di articoli in cui sfogare la mia voglia di iniziare a capirci qualcosa, sempre con un occhio rivolto al fare? C’è Andrea Giuliodori ed Efficacemente. Sento che è il momento di entrare più in profondità, voglio un lavoro che mi impieghi tempo ed un bel pò di sforzo, d’indagine, di messa in discussione, con un pizzico di atmosfera magico galattica? Roberta Zanetti con Supernova. Poi c’è Cecilia Sardeo col suo taglio giovanile e Nicole Zunino col suo sorriso che affrontano la crescita di un business consapevole mettendo tutte le loro competenze in gioco, la community di Meverick’s di Federico Pistono e l’ironia di Just Mick.

Questi sono solo alcuni dei professionisti, la cui unicità, può aiutarci a far luce su noi stessi per ottenere la famosa vita che desideriamo. Solo se abbiamo ben chiaro che “così come non esiste un’unico tipo di pizza non esiste un modello unico di felicità uguale per tutti” ci concederemo del tempo per osservare le diverse alternative alla ricerca di cosa in questo momento è più in linea coi nostri valori, le nostre necessità ed i nostri bisogni.

Mal che vada si può sempre partire dal classico di Simon Sinek “Partire dal Perchè”, più d’ispirazione di così.

2. Avrai bisogno di investire spazio e tempo

Diffida da chi evita accuratamente di sottolineare che per ottenere qualche risultato bisogna rimboccarsi le maniche e metterci determinazione e costanza. Diffida dal “tutto e subito”, dagli estremi e dall’assolutismo sfacciato.

I migliori insegnanti non ti chiederanno di credere per fede ma ti inviteranno a mettere in discussione ogni tua certezza e provare a seguirli per un periodo medio lungo che va da un mese ad un anno.

Evita di pretendere da te stesso di imboccare la strada perfetta al primo colpo. Io non conosco nessuno che l’ha fatto, ma conosco invece moltissime persone che hanno passato i primi anni della ricerca a cambiare e provare, conoscendosi sempre un pò di più e scoprendo, lungo la via, che le prime esperienze erano spesso prese sull’onda di una moda, di un’idea astratta o di una “dis-conoscenza” di sé stessi.

3. E’ un investimento monetario

Così come non hai accesso gratuito alla palestra, allo stesso modo i migliori allenamenti per i muscoli interni sono a pagamento. La maggior parte dei personaggi di cui ti ho parlato sopra hanno canali youtube, account social o blog in cui mettono a disposizione strumenti gratuiti, nei quali puoi iniziare a familiarizzare col loro personale modo di affrontare i diversi argomenti e cercare di capire se ed in che ambito fanno per te, ma la vera differenza la troverai impegnandoti prima di tutto economicamente, compiendo una scelta ed impegnandoti a trarre il massimo da questa.

Quindi si alla lista dei buoni propositi, si alla voglia di uscire da questo periodo imboccando una nuova strada, si all’entusiasmo da sole cuore e amore ma sempre ricordando che la vera differenza, all’inizio di un cambiamento, la fanno le domande e la strada che si decide di percorrere nella ricerca delle proprie personali risposte.

Lutti e nascite

E così alla vigilia della mia messa al mondo mi prendo un attimo, quasi fuori luogo, di silenzio. Me lo prendo dal ristorante e dalle comparse di un estate che vorrebbero una scusa per aprire bottiglie di prosecco, che francamente a me non piace, mi prendo un attimo anche dal compagno a cui devo profonda gratitudine, mi prendo o almeno cerco di prendermi un attimo anche da me, da questa testa che guarda ed osserva, da questo cuore che pulsa e dal respiro che riempie gli occhi.

Sospesa resto nella penombra, lascio che tutto ciò che sono sia, senza escludere nulla, dalla puzza di tabacco all’odore di palo santo e oli essenziali che pervade la camera ed i miei vestiti, dal lavoro di cameriera fino a quel dono di sentire oltre, ogni riga letta che mi è parsa più reale della realtà fino alle banalità in cui cado senza nemmeno accorgermene.

Dentro di me, al fianco, ancora una volta c’è quella presenza di Donne a cui vorrei assomigliare un po’. Sorrido pensando ai lati che abbiamo imparato a far coincidere, a quelli che voi stesse avete voluto rimanessero spigoli, fiere di quella diversità, di quel minimo punto di contatto. A ritroso penso al grembo che mi ha dato alla luce. Alla Donna, che prima di essere madre è stata bambina, ragazza, femmina, indipendente testarda, ai suoi sogni, a tutti i compromessi che sono venuti dopo, alla fatica, ai rospi, all’amore di quel dopo.

Ciao mamma, tra poche ore smetti di essere Donna e diventi madre. Nella tua testa chissà se ti immagini quante te ne farò passare, chissà se ci pensi a questa cuspide leone-vergine che tanto sogna quanto si arrabbia, chissà se ci pensi che oggi lasciando la tua femminilità nelle mani del mio mocio lasci indietro anche una parte di te. La mia nascita è un lutto, nulla di drastico, un cambiamento come tanti, ma ora io, nel mio essere Donna, ti riconosco. Tra poche ore, mamma diventerà il tuo nome, finirai per abituartici, finirai per pretendere di essere chiamata così in privato come in pubblico e non hai idea di quale sacrificio stai compiendo. Sacrificare viene da “rendere sacro”, oggi io faccio sacro il tuo Nome, anche se non mi permetterai di usarlo.

C’è un sacco di dignità nella storia che hai scritto, lo pseudonimo in copertina puoi lasciarlo andare.

Buchi neri e notti senza luna.

Perché è importante lavorare sulla propria storia?

Cosa rende così vitale la presa di coscienza del luogo da dove veniamo, delle sue abitudini, delle sue paure e dei suoi trascorsi?

I buchi neri esistono in natura ed in noi, fori d’oscurità imprevedibile, attimi fuori dal tempo in cui ogni reazione pare slegata dal comune movimento di causa ed effetto.

Quando finiamo in buco nero emozionale poche cose possono farci d’appiglio e la terra manca sotto i piedi come l’ossigeno nell’aria; nessun punto fisso o qualcosa che sentiamo possa nutrirci e farci stare meglio.

Se tutto è buio intorno a me io chiudo gli occhi nonostante la paura, da quella notte così oscusa mi faccio avvolgere e sento. Sento il cuore battere più veloce, la bocca dello stomaco chiudersi e l’aria farsi strada a tentoni nei miei polmoni. In quel buio lascio le mie fuggevoli emozioni libere mentre a fatica mi immergo oltre la superficie.

Ripercorro la strada fatta senza nessun giudizio, accetto ogni scelta semplicemente per quello che è, nella consapevolezza della finitezza umana e nella consapevolezza che ho sempre cercato di fare il meglio che potevo con quello che avevo. Lascio da parte le cadute, quelle le fanno tutti, mentre ricordo ogni volta che mi sono rialzata, ogni mattina in cui mi sono rimboccata le maniche, ogni sorriso che ho regalato e le cose belle che la vita, nonostante tutto e nonostante me, mi ha donato.

Osservo le incrinazioni del quadro famigliare che mi ha accolta e cresciuta, alzo le spalle alla storia che ci accomuna e chino il capo alla fatica che ogni parente di sangue ha fatto per andare oltre quelle convinzioni; torno ad osservare la strada fatta, coi mezzi che avevo e per l’orizzonte che allora vedevo. Mi rialzo. Tengo gli occhi chiusi perché il buio è diventato conosciuto, né amico né nemico, solo un momento di buio.

La notte non dura un battito di ciglia, i nostri occhi hanno bisogno di tempo per farsi capaci di scorgere i dettagli. Le ferite non guariscono con uno schiocco di dita, hanno bisogno di tempo, danno fastidio e prudono guarendo. Impariamo dalla natura solo quando ci è più comodo invece di rimane ad osservare ogni suo aspetto, ci aspettiamo che l’Anima si laceri e guarisca senza prendercene cura e lo faccia senza dar fastidio o prudere.

Eppure funziona sempre nello stesso naturale modo. Ci feriamo, disinfettiamo, lasciamo che si formi con irritazione la crosta, resistiamo alla tentazione di grattarla via, aspettiamo e aspettando usiamo unguenti delicati che ci aiutino a sopportare l’attesa.

La vita ci strappa e noi cerchiamo conforto nelle persone Amiche, poi aspettiamo che si formi una crosta dura che a volte è apatia ed altre rabbia, mentre guarisce ricordiamo a noi stessi che è parte del processo quel senso di disagio che sentiamo prenderci da dentro, utilizziamo parole delicate, riportiamo alla mente ogni piccolo abbraccio e le cose per cui vale la pena sorridere mentre aspettiamo che la ferita guarisca e non ce ne dimentichiamo quando sembra guarita perché sappiamo che alla luce del sole rimangono segni, ci prendiamo ancora cura di lei.

Rendiamo grazie. Ci offriamo una tregua.

Prendi giacchetto, metti giacchetto, togli giacchetto… Atteggiamento.

Ultimamente rifletto spesso sul cos’è un “atto di fede”.

Sono in una fase in cui l’aprirsi alla chiusura di cicli è, da una parte, un “credere nelle cose belle che Dio, o chi per lui, ha fatto per me in passato, sta facendo per me ora e farà in futuro” e, dall’altra, un razionale rendersi consapevoli di come la vita stessa sia un susseguirsi di cambiamenti: questa non è la prima fine e di certo non sarà l’ultima.

Per quando riguarda la Fede, essa si concretizza nel riconoscere la bellezza, nel credere e sapere di essere sostenuti sempre anche quando l’apparenza e l’identificarsi con oggetti e ruoli pare dirci il contrario. La perdita di aggettivi possessivi è ben più ostica di quanto ci piacerebbe ammettere ma il credere, nonostante tutto, è solo una scelta.

La razionalità, dalla sua parte, non mi permette di cadere in contorte lamentale: ci sono stati fatti e scelte di cui io sono responsabile, un presente che è tale per opera mia e a cui io solo posso rimediare. Ci sono situazioni che si sono ripetute, occasioni che ho lasciato passare, ma in nessun caso c’era un obbligo. Solo, nuovamente, una scelta da fare.

Mentre rifletto su questi due aspetti mi torna alla memoria quel famoso pezzo di Karate Kid “prendi giacchetto, metti giacchetto, togli giacchetto… Atteggiamento” e lui che fa quel sorriso forzato a 36 denti.

Ci sono momenti in cui ripeto a me stessa “fede è credere che Dio ti sosterrà affinché tu possa realizzare lo scopo della tua Anima e bla bla bla”, la ripetizione è silenziosa a 360°: potrebbe anche essere la ricetta delle polpette tanta l’indifferenza del mio cuore ed il mancato coinvolgimento dei miei sensi.

Questi sono i momenti in cui “faccio un giro più largo”: parto ricordando quante altre volte le cose sono cambiate e tutto ciò che di positivo c’è stato, e c’è sempre stato a ben guardare; poi ammetto a me stessa di avere paura ed elenco tra me e me le cose che temo o di cui mi dispiaccio cercando di rimanere in osservazione di cosa si muove perché sul fondo dei miei pensieri, dietro il muro che posso erigere con lamentele ed ansie, vedo pulsare chi sono davvero, vedo emergere i volti di chi crede in me, le possibilità che si aprono alle chiusure, vedo la “fede”. E la fede non è altro che un riconoscermi, è scegliere di scegliere.

Sono arrivata a pensare “all’atto di fede” come ad un ragionamento dell’Anima di fronte alle continui fini, così come per il bruco e la farfalla: ammetto l’incapacità di vedere oltre, la scarsa immaginazione, il limite del visibile, ammetto tutto questo e davanti alla fine scelgo di aspettare a sentirmi persa, tragicamente abbandonata o senza speranza. Però.

Però lo faccio nel Sentire del mio cuore, non permetto che sia una mera ripetizione ma un occasione di osservazione, vedo cosa provo pensandoci, dove tentenno e abbasso le sguardo. Mi ricordo dell’atteggiamento, anche se nel film non si facevano di certo tutto questo gran ragionamento.

L’atto di fede allora si dimostra tale non tanto in un’azione esterna ma, piuttosto, in una silenziosa ed interna, sincera e capace di essere salda.

L’atto di fede diventa così coerenza cardiaca (nel senso di atto allineato al cuore) non tanto perché è azione cieca sulla base di qualche supposizione ma proprio perché ci vede benissimo e sceglie.

Un atto di fede insomma si fa ad occhi aperti e forse bisognerebbe iniziare a correggersi e chiamarlo “un salto nella luce”.