Sta forse nelle parole il senso delle preghiere?

Un racconto hasidico narra di un contadino povero che, nel rincasare la sera tardi dal mercato, si accorge di non avere con sé il suo libro di preghiere.

Al suo carro si era staccata una ruota in mezzo al bosco ed egli era angustiato al pensiero che la giornata finisse senza aver recitato le preghiere. Allora pregò in questo modo: “Ho commesso una grave sciocchezza, Signore. Sono partito di casa questa mattina senza il mio libro di preghiere e ho così poca memoria che senza di esso non riesco a formulare neppure un’orazione. Ma ecco che cosa farò: reciterò molto lentamente tutto l’alfabeto cinque volte e tu, che conosci ogni preghiera, potrai mettere insieme le lettere in modo da formare le preghiere che non riesco a ricordare”.

Disse allora il Signore ai suoi angeli: “Di tutte le preghiere che oggi ho sentito, questa è senz’altro la più bella, perché è nata da un cuore semplice e sincero”.

Anthony De Mello


Forse i fraintendimenti tra noi ed il Tutto sono iniziati proprio quando abbiamo cominciato a dare valore più alle parole che al sentimento che ci stava dentro.

Per quanto razionalmente, all’interno di un dibattito, saremmo tutti d’accordo nel dire che l’uomo con la barba seduto sul seggio d’oro oltre le nuvole sia un’allegoria, fatichiamo ancora a sentirci davvero parte di lui e nella nostra limitata mente, volenti o meno, ci aspettiamo che ragioni esattamente come noi, con parole e discorsi.

C’è un libricino che mi piace molto, si chiama “La scienza perduta della preghiera” e Gregg Braden, il suo autore, è bravo ad accompagnare con delicatezza il lettore attraverso i dubbi che lascia sorgere; la mia parte preferita osserva come spesso ci relazioniamo alla preghiera come se si trattasse di un’appendice della nostra vita: arriviamo a casa, ci togliamo le scarpe e i ruoli, congiungiamo la mani e creiamo un “angolo spirituale” che è altro rispetto alla nostra identità, alla nostra vita, infatti ad un certo punto smettiamo e torniamo nel mondo reale.

Per me, che manco della delicatezza di Gregg, è come voler esser a dieta un quarto d’ora al giorno e sempre frustrati perché non ci si vede dimagrire. Generiamo pensieri di rancore e di paura abbelliti con attimi di positività che crediamo facciano la differenza.

Può davvero essere tutto qui? Crediamo davvero che ci sia un uomo divino con l’agenda a segnare i più ed i meno della nostra vita? Non è forse che la preghiera è più simile ad una parola di potere che ci permette di rimanere ancorati ad un intimo senso di fiducia oltre al chiacchiericcio della mente?

Se fosse così allora, pregare non è tanto mettere insieme una serie di parole che ci hanno detto essere le migliori, quelle giuste, ma abbracciare un sentimento e mantenerlo vivo “no matter what”; vedere gli alti ed i bassi della vita, le emozioni di gioia come quelle di dolore come oscillazioni di un’illusione, al dì la della quale c’è sempre un’unica fonte.

Quanto si parla di preghiere, un’altra bellissima citazione che mi viene in mente è tratta da “Un impresa da Dio” dove un magnifico Morgan Freeman dice :

“A chi pregando chiede pazienza, credi che Dio dia pazienza? O dia invece l’opportunità di essere paziente? A chi chiede coraggio, Dio lo concede…o dà l’opportunità di essere coraggiosi? A chi chiede la gioia di una famiglia più unita, credi che Dio regali sentimenti rassicuranti o l’opportunità di dimostrare amore?”

Mi piace questo iniziare a far osservare alla gente che quando preghiamo per una mancanza, dato che se chiediamo la pazienza di fatto stiamo riconoscendo di non averne, si attiva intorno a noi l’opportunità di imparare ad averne.

Perché nessuno crede più che pazienza, coraggio o amore scenderanno dal cielo come un’unicorno da un arcobaleno vero?!

Ed è a questo punto che la nostra mente si incarta, che inizia a vivere questa scoperta di grandezza come uno sforzo, che inizia a pregare in quel “ritaglio di spiritualità” senza però lasciarsi coinvolgere dall’emozione, da sentimento, dal come si sentirebbe una persona capace di perdonare, di amore, di scelte coraggiose.

Chiediamo di cambiare senza modificare nulla dei nostri perché, dei valori che ci guidano, delle credenze che ci costituiscono, delle abitudini che ci definiscono e ci arrabbiamo se il piano presenta delle falle. Ammettiamo pregando di non conoscere la pazienza eppure abbiamo la presunzione che la sapremo riconoscere, fatichiamo a renderci conto che “riconosciamo solo ciò che conosciamo” ed è per questo che la preghiera dovrebbe essere un’ancora che ci ricorda, il più spesso possibile, di entrare all’interno delle molteplici sfumature della pazienza, di farle nostre e di radicarle tanto da dimenticarci di pregare per averle.

La preghiera allora diventa la capacità di sentire, di osservare il rapporto che intratteniamo con noi stessi, con gli altri, con Dio; ci permette di vedere quelle che noi percepiamo come mancanze ed intraprendere un viaggio, un moto prima di tutto interiore, verso il ritorno ad un’unità.

“La bellezza, il perdono, la pace, la compassione, il coraggio, semplicemente, esistono. Essi sono già presenti. Si manifestano in ogni luogo ed in ogni momento. Il nostro ruolo è riconoscerli. La vita ci dà l’opportunità di cercarli e di scoprirli, dalle ferite più profonde alle gioie più eccelse, facendone un modello per la nostra esistenza e per noi stessi.”

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